SPACCIO DI LIEVE ENTITA’. SI’ ALL’ESTINZIONE DEL REATO CON ESITO POSITIVO DELLA MESSA ALLA PROVA.
La Corte Costituzionale in una recente pronuncia ha stabilito la compatibilità tra il reato di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope di lieve entità e l’istituto della messa alla prova.
L’istituto in questione è previsto dall’art. 168 bis e ss c.p. e prevede che, con riferimento ai reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal comma 2 dell’art. 550 c.p.p., l’imputato possa chiedere la sospensione del processo con messa alla prova.
La messa alla prova consiste in particolare nella prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato nonché, ove possibile, al risarcimento del danno cagionato.
La concessione della messa alla prova comporta l’affidamento dell’imputato ai servizi sociali ed è subordinata alla prestazione di lavoro di pubblica utilità, consistente in una prestazione non retribuita in favore della collettività.
L’esito positivo della messa alla prova estinguerà il reato per cui si procede.
Al contrario, la reiterata e grave trasgressione al programma di trattamento o alle prescrizioni imposte, il rifiuto alla prestazione del lavoro di pubblica utilità, ovvero la commissione durante il periodo di prova di un nuovo delitto non colposo o della medesima indole rispetto a quello per cui si procede, determinano la revoca della sospensione del procedimento.
L’istituto non può essere concesso più di una volta nella vita, e non può essere richiesto da coloro che siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza.
Il reato di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope di lieve entità è previsto invece dal comma 5 dell’art. 73 D.P.R. n. 309/1990, che prevede la pena della reclusione da 6 mesi a 5 anni e della multa da 1.032 a 10.329 euro (e quindi notevolmente inferiore a quella prevista per l’ipotesi base di cui al comma 1, che stabilisce la reclusione da 6 a 20 anni e la multa da 26.000 a 260.000 euro).
Tuttavia, nonostante il trattamento sanzionatorio più mite rispetto all’ipotesi base di spaccio di cui al comma 1, come visto la pena prevista per lo spaccio di lieve entità non rientra comunque nella soglia massima che permette l’accesso alla messa alla prova (pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni).
Inoltre, lo spaccio di lieve entità non rientra neppure nel novero dei delitti elencati dall’art. 550 comma 2 c.p.p. per i quali, come sopra visto, l’accesso a tale istituto è comunque consentito a prescindere dalla pena per questi prevista.
Di conseguenza, da una mera lettura del quadro normativo vigente, l’ipotesi di spaccio di lieve entità di cui al comma 5 dell’art. 73 D.P.R. n. 309/90 risulta incompatibile con l’istituto della messa alla prova.
La Corte Costituzionale si è tuttavia pronunciata recentemente sul punto con la sentenza n. 90/2025 stabilendo l’incostituzionalità dell’esclusione del reato di spaccio di lieve entità dall’istituto della messa alla prova.
Le questioni di legittimità costituzionale sono state sollevate dai Tribunali di Padova e Bolzano, che hanno censurato, in combinato disposto, l’articolo 168 bis, primo comma, del codice penale, l’articolo 550, secondo comma, del codice di procedura penale e l’articolo 73, comma 5, del Testo unico stupefacenti.
Per i tribunali rimettenti, l’effetto preclusivo determinato dalle norme censurate dovrebbe ritenersi illegittimo per più motivi.
Anzitutto per la disparità di trattamento con il reato di “istigazione all’uso illecito di sostanze stupefacenti” in violazione dell’art. 3 della Costituzione, che è un reato sanzionato con una pena detentiva maggiore rispetto allo spaccio di lieve entità nel massimo e nel minimo edittale (reclusione da 1 a 6 anni e multa da 1.032 a 5.164 euro), ma che paradossalmente rientra, al contrario di questo, tra le fattispecie per cui può essere richiesta la messa alla prova, essendo inserito nell’elenco di cui all’art. 550 comma 2 c.p.p..
In secondo luogo in quanto viola il finalismo rieducativo della pena sancito dall’art. 27 della Costituzione, non permettendo all’imputato di riparare alla propria condotta attraverso un programma appositamente elaborato che riduca il pericolo di reiterazione dell’illecito.
La Corte ha accolto la questione di legittimità costituzionale in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, ritenendo irragionevole e foriero di disparità di trattamento che, tra i due reati a confronto, l’accesso alla messa alla prova sia precluso per la fattispecie meno grave (il piccolo spaccio), mentre per quella più grave (l’istigazione all’uso illecito di sostanze stupefacenti) sia, invece, ammissibile.
Ha quindi dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 168-bis, primo comma, del codice penale, nella parte in cui non consente la sospensione del procedimento con messa alla prova per il reato previsto dall’art. 73, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309.